Bridget Jones’s Baby

PROGRAMMAZIONE
TERMINATA
Bridget Jones’s Baby
Una formula perfetta non si corregge, si replica. Ecco perché quello di Bridget Jones è un vero ritorno
Bridget Jones’s Baby
(id)
Regia: Sharon Maguire
Cast: Renée Zellweger, Colin Firth, Patrick Dempsey, Jim Broadbent, Gemma Jones
Genere: Commedia
Durata: 125 min. - colore
Produzione: Gran Bretagna (2016)
Distribuzione: Universal Pictures
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Bridget è più magra, più professionale, più sicura di sé e soprattutto più vecchia, quando spegne in pigiama, sola in casa, la candelina del suo quarantatreesimo compleanno. L’amica Miranda la trascina allora in un weekend di musica, alcool e programmatico sesso occasionale, dove Bridget s’imbatte, in maniera a suo modo romantica, nell’aitante Jack. Il weekend dopo, invece, è la volta di Mark Darcy, mai dimenticato, e ora incrociato sulla via di un altro divorzio, pronto al ritorno di fiamma. È così che Bridget Jones si ritrova felicemente incinta, senza certezze rispetto a chi possa essere il padre: Jack o Mark? Ognuno a proprio modo, i due uomini accompagnano la pasticciona verso il termine della gravidanza e il misterioso responso.
Non è un paragone fondato sul merito, di nessun tipo, è piuttosto una constatazione: in fondo, l’operazione “Bridget Jones dodici anni” dopo non è dissimile, per la modalità in cui è stata portata a termine, dal recente ritorno di “Star Wars”. In entrambi i casi, gli autori devono aver pensato o capito che una formula perfetta non si corregge: si replica. Il tempo trascorso da allora a oggi, nell’universo filmico così come in quello reale, extrafinzionale, non potrà che aggiungere un contributo positivo, fatto tanto di goliardica nostalgia quanto di sopraggiunta ironia.
Ecco allora tornare le goffaggini della protagonista, le faccette buffe, l’attitudine un po’ masochista. Soprattutto, ecco tornare il triangolo: non solo Patrick Dempsey prende il posto che fu di Hugh Grant nel duello (la genesi dei personaggi di Helen Fielding attingeva, ricordiamolo, al capolavoro di Jane Austen) con Colin Firth, ma ne prende anche l’attitudine alla vanità e alla bugia detta al momento giusto, capace di ribaltare le sorti della competizione. Stavolta, però, la rivalità è ben mascherata, costretta addirittura a passare per collaborazione, e ne saltano fuori delle belle.
Tornano anche certi capi d’abbigliamento, per strappare il cuore a chi ha l’età anagrafica per ricordarsi la loro prima apparizione come se fosse ieri, e la sfumatura impegnata della causa su cui lavora l’avvocato Darcy, che ha a suo modo a che fare con la trama del film e non è mai puro pretesto. Anzi, una delle scene più belle di questo capitolo è probabilmente la corsa contromano di Bridget all’ospedale, mentre la marcia femminista va nella direzione opposta: stiamo pur sempre parlando di un’eroina d’altri tempi, che sogna il matrimonio in chiesa e un figlio a tutti i costi. È giusto ribadirlo, per poterla eventualmente amare “così com’è”.
Il finale debole debole, gli eterni ritorni e qualche scivolone (letterale) fuori tempo massimo, difficilmente assicureranno a questo terzo film il posto nella memoria che ha raggiunto il primo, però anche questo capitolo ha i suoi personaggi memorabili (la ginecologa Emma Thompson, la nuova boss Kate O’Flynn, con i suoi giovani assistenti dalle “barbe ironiche”) e una serie di situazioni di fronte alle quali è davvero impossibile mantenersi seri.