C’ERA UNA VOLTA IN BHUTAN

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TERMINATA
C’ERA UNA VOLTA IN BHUTAN
UN FILM SEMPLICE MA DALLO SGUARDO ACUTO SU UN MOMENTO SPECIALE IN BHUTAN: LA PRIMA VOLTA ALLE URNE.
C’ERA UNA VOLTA IN BHUTAN
(The Monk and the Gun)
Regia: Pawo Choyning Dorji.
Cast: Tandin Wangchuk, Kelsang Choejey, Deki Lhamo, Pema Zangmo Sherpa, Tandin Sonam.
Genere: Drammatico, Commedia
Durata: 107 min. - colore
Produzione: Taiwan, Francia, USA, Hong Kong, Bhutan (2023)
Distribuzione: Officine Ubu
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Bhutan 2006. Il re rinuncia a parte dei suoi poteri decidendo di indire per la prima volta elezioni democratiche. Alcuni funzionari statali vengono mandati nei villaggi per spiegare direttamente le dinamiche elettorali. In uno di essi un Lama decide di dotarsi di almeno un fucile per ‘mettere le cose a posto’…

 

 

 

Al suo secondo film Pawo Choyning Dorji affronta le tematiche legate al suo popolo con uno stile diverso rispetto a Lunana – Il villaggio alla fine del mondo.

 

 

 

Dopo aver affrontato, con uno stile semi-documentaristico, i temi legati all’educazione e al mondo rurale il regista torna ad occuparsi della propria terra volgendo lo sguardo ad un passato prossimo e ad un evento che hanno avuto un grande significato sia sul piano politico che su quello sociale. Perché le elezioni, concesse da una monarchia che ha deciso di diventare costituzionale con le due elezioni per le due Camere nel dicembre 2007 e nel marzo 2008, hanno costituito davvero un cambiamento per molti inimmaginabile.

Dal punto di vista occidentale un corpo elettorale formato da unità familiari e non da individui non può costituire un esempio di democrazia completamente attuata ma il film riesce ad offrire, con semplicità ma anche con sguardo acuto, la lettura di quali fossero le aspettative della monarchia e quanta confusione regnasse tra i sudditi. La necessità di dover organizzare una simulazione della tornata elettorale offre l’occasione per creare un clima da commedia in cui gli inviati del governo inventano tre partiti utilizzando delle ripartizioni generiche ma, soprattutto, dei colori. Con le conseguenze che si potranno apprezzare.

C’è poi, a fare da fil rouge, la richiesta del Lama locale di poter avere delle armi con lo scopo dichiarato di mettere le cose a posto. L’ambiguità voluta dell’enunciato consente di creare un’aspettativa che opera su punti di vista e/o pregiudizi di chi guarda nei confronti di una forma di spiritualità che, come Dorji ricorda, nelle campagne più che nelle città costituisce ancora uno stile di vita in cui i monaci sono visti come l’incarnazione degli insegnamenti del Buddha e pertanto vengono venerati e rispettati.