GHOSTBUSTERS – LEGACY

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TERMINATA
GHOSTBUSTERS – LEGACY
UN FILM-PONTE TRA GENERAZIONI CHE METTE A CONFRONTO MONDI DISTANTI - ANALOGICO E DIGITALE, ANACRONISTICO E CONTEMPORANEO
GHOSTBUSTERS – LEGACY
(Ghostbusters: Afterlife)
Regia: Jason Reitman
Cast: Finn Wolfhard, Paul Rudd, Mckenna Grace, Carrie Coon, Annie Potts, Bill Murray
Genere: Azione
Durata: 150 min. - colore
Produzione: USA (2021)
Distribuzione: Warner Bros Italia
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Due notizie raggiungono quasi contemporaneamente Trevor, Phoebe e la loro mamma: la morte del nonno che non hanno mai conosciuto e l’ingiunzione di sfratto. Caricare in macchina tutto ciò che hanno e trasferirsi nella vecchia fattoria del nonno sembra dunque l’unica opzione possibile. Sperduta nel bel mezzo del nulla, in una zona quotidianamente scossa da inspiegabili terremoti, la nuova casa, come ogni vecchia magione che si rispetti, pullula di segreti: strani rilevatori di energia, nascondigli nel pavimento, e una curiosa automobile, coperta di polvere, targata Ecto-1.

Le ragioni della riproposta del cult di Ivan Reitman alla generazione di Stranger Things affondano com’è ovvio nella sfera economica e in una complessa rete di previsioni a tanti zeri, ma ciò non ci impedisce di reagire da romantici e vedere in quest’operazione la salutare costruzione di un ponte tra generazioni, che si può percorrere in entrambi i sensi di marcia, dal classico del 1984 ad oggi oppure all’indietro, per andare a disseppellire un antico tesoro sepolto, intercettando vere e proprie apparizioni, fantasmatiche e sorprendenti.

D’altronde Ghostbusters: Legacy è anche questo: un passaggio di testimone da padre a figlio, in sede di regia, e un viaggio del secondo nel tempo del primo, attraverso un lavoro sulle fonti – le VHS, le clip incorporate da YouTube, col riposizionamento semantico che comporta – che entrano organicamente a far parte della materia del film, in uno scambio tra analogico e digitale che è presente in tutto il testo e nel sottotesto tematico, e si traduce visivamente in un’estetica steampunk, che combina anacronistico e contemporaneo.

Un ritorno ben giocato, dunque, perché presentato come un’esperienza nella quale scoperta e riscoperta convivono felicemente, per pubblici diversi, grazie anche alle giuste intuizioni di scrittura, che guardano a classici più recenti come “Spiderwick” (il trasferimento nella magione diroccata dovuto ai problemi di famiglia e in particolare alla latitanza della figura paterna) o anche “Jumanji”, citato nella scena del Walmart, per il ruolo degli oggetti che consentono la transizione e per il modo in cui gli elementi originari, pur rimanendo gli stessi (tornano infatti Gozer, il Mastro di Chiavi, il Guardia di Porta, ma anche Ivo Shandor e l’omino di Marshmallow), dimostrano di poter sopportare felicemente sempre nuove incarnazioni.

Ogni generazione, insomma, può avere i suoi Ghostbusters, ci dice il film di Jason Reitman, perché il mondo ne avrà sempre bisogno. Ieri erano Peter, Ray, Egon e Winston, oggi sono la giovanissima Phoebe, che adora la scienza, suo fratello Finn “Trevor” Wolfhard, che di soprannaturale ha già sentito parlare altrove, alle prese con il Sottosopra, e la bella Lucky e il simpatico Podcast, i cui file audio serviranno forse un giorno come fonti storiche orali in una nuova avventura.