God’s not dead
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All’interno dell’ambiente accademico americano, la fede cristiana è dichiaratamente sotto l’attacco del pensiero scientifico. Cinici professori che abusano del proprio potere in aula per convincere i loro studenti all’abiura del credo, popolano i corridoi degli atenei. Josh è una brillante matricola determinata a difendere l’esistenza di Dio contro lo scetticismo di un insegnante disposto a tutto pur di affermare un pensiero filosofico ateo. Il professore di filosofia Jeffrey Raddison sembra voler mettere sotto scacco l’amore per il prossimo e il richiamo alla spiritualità, rifacendosi ad un atteggiamento semplicistico e dispotico. Dopo aver preteso dai suoi studenti una dichiarazione scritta che neghi l’esistenza di Dio, Raddison attacca il cristianesimo dall’alto del consiglio accademico, tentando di consolidare la tesi di non dimostrabilità e quindi l’inesistenza di un’entità divina dietro la creazione.
Lo snodo centrale della narrazione sarà l’opporsi di Josh alla sottoscrizione, che lo costringerà a presentare una difesa che confuti le teorie del professore di fronte a tutta la classe. A fare da sfondo alla vicenda, s’intrecciano le storie di personaggi secondari provenienti da esperienze di vita diverse, tra i quali spiccano una giovane blogger ammalata di cancro, costretta a riflettere sulle sue priorità dopo esser stata abbandonata dal cinico fidanzato, e un padre musulmano messo alla prova da una figlia che rinnega la fede per ascoltare le omelie di Franklin Graham. La rappresentazione è quella di una vita di decadenza e barbarie dialettica (senza che lo script ne evidenzi mai la vera matrice) che mina alla base il progetto cattolico, generando veri e propri mostri senza cuore che devono essere apparsi verosimili alla visione dogmatica della serratissima Bible Belt americana; fastidiosi invece per coloro vicini ad un approccio umanista.
La tesi centrale della morale cristiana vorrebbe essere il filo conduttore della narrazione, ma un plot frammentario e sommariamente traballante, incentrato sull’apologia di una crociata all’illuminismo, non regge sotto il peso di un dibattito ampiamente affrontato – altrove – qui presente in veste di monologo unilaterale dal piglio polemico e superficiale. Storie che tentano di completarsi a vicenda finiscono, inesorabilmente, per mostrare lacune strutturali per cui ogni sequenza sembra sempre sul punto d’innescare il dibattito ideologico senza mai veramente riuscirci. Ne risulta una visione in cui chiunque si discosti, per fede o ideologia, dal cristianesimo è un nemico da combattere, un personaggio con bisogno di redenzione.
Pensato con l’intento di rafforzare stereotipi radicali, il film nasce dalla penna dell’americano Rice Broocks, co-fondatore dell’associazione cattolica Every Nation family of churches. Aforismi decontestualizzati, estrapolati alla meglio da trattati scientifici, travisano le parole di illustri pensatori, chiamati a far parte di una lista (nera) di filosofi atei dal cattivissimo professor Radisson in apertura delle lezioni. Camus, Chomsky, Foucault, Nietzsche, Freud vengono processati senza diritto di replica da un film che, adottando il punto di vista del fedelissimo Josh, li mostra massivamente come anticlericali da cui prendere le distanze.
Harold Cronk riunisce un cast in linea con il linguaggio televisivo adottato, muovendosi su ambientazioni prive di contrasti cromatici significativi che appiattiscono l’immagine e la fotografia, e su personaggi senza spessore psicologico che non lasciano spazio a sfumature caratteriali. Un’illuminazione inverosimile si accompagna alla colonna sonora che enfatizza le dominanti dei personaggi, trovando il suo apice con la performance finale della band cattolica Newsboys, vicini più di ogni altro a quest’anacronistica crociata moderna.
Parafrasando un Chomsky: i principi universali del linguaggio cinematografico, rimanendo strettamente ancorati alla grammatica televisiva, non sembrano nascondere alcuna realtà mentale. Il modello utilizzato è una grammatica elementare in funzione di un film d’indottrinamento altrettanto elementare, in cui la controparte atea è ridotta a portavoce di un negazionismo privo di creatività e capacità dialettica.