Where To Invade Next
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Michael Moore decide di fornire delle idee al Pentagono su delle possibili future invasioni. Sarà però necessario rispettare delle regole: non uccidere nessuno, non cercare di accaparrarsi il petrolio e portare a casa qualche suggerimento per migliorare la società americana. Eccolo allora decantare le ferie italiane, le mense scolastiche francesi, la depenalizzazione delle droghe portoghese, la conservazione della memoria storica e la compartecipazione degli operai alla gestione delle fabbriche tedesche, la presenza delle donne nei posti chiave in Islanda, la gratuità delle università in Slovenia ecc.
Michael Moore, privo di un’Amministrazione repubblicana da combattere si ritrova orfano di avversari diretti e decide di riprendere un filone narrativo che aveva già affrontato, seppure occasionalmente, in passato: la glorificazione di aspetti parziali di altre forme di collettività che possano servire da lezione per gli americani. Chi conosce i suoi film ricorda una sua visita ad un ambulatorio canadese, dove in brevissimo tempo veniva ricevuto, e l’esaltazione dei servizi sociali in Francia…Qui si ripete su vasta scala l’operazione con l’obiettivo dichiarato di mettere i compatrioti dinanzi ad ideali e forme di rispetto per l’individuo che sembrano avere del tutto dimenticato. Per raggiungere l’obiettivo Moore, come sempre, utilizza un dosaggio che prevede due terzi di realtà e un terzo di manipolazione dei dati. In questa occasione la foglia di fico sta in una frasetta in cui afferma di sapere che ci sono anche i problemi nelle nazioni che visita ma che a lui interessano i semi di positività. Gli stereotipi costituiscono così la base su cui strutturare il racconto.
A partire dall’Italia in cui si pensa a far l’amore e a lavorare il meno possibile inanellando ferie retribuite, congedi matrimoniali e per maternità, pause pranzo della durata di due ore e anche le feste patronali. Ciliegina sulla torta: la tredicesima mensilità. Moore si finge ammirato e lascia anche un minuto e mezzo a un sindacalista per dire che tutto ciò è frutto di lotte operaie ma di fatto l’ironia dilaga e la platea internazionale (prima mondiale al Festival di Berlino) la coglie con grasse risate. Non una parola (ovviamente viste le premesse) sul precariato dilagante e ciò che ne consegue. A confermare l’ironica malafede (d’altronde scrive che siamo il Paese di Gesù, di Don Corleone e di Super Mario) buona parte degli stessi diritti vengono affermati anche per la Francia ma sistemati in una rapidissima e quasi illeggibile sovrimpressione. Lì è più importante il Camembert a tavola a scuola e fingere che i bambini rifiutino la Coca Cola. Tutto ciò non fa del bene alla giusta querelle che Moore vuole sollevare a proposito di valori ora negletti negli Usa. Beato lui se gli americani crederanno a tutte queste luci europee ma l’impressione, di qua dall’Oceano, è che ci sia troppa retorica concentrata in un uomo solo.