Fino alle montagne

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Fino alle montagne
Un film fortemente sensibile che affronta il tema dello sradicamento e dei limiti umani
Fino alle montagne
(Bergers)
Regia: Sophie Deraspe
Cast: Félix-Antoine Duval, Solène Rigot, Guilaine Londez, Michel Benizri, David Ayala.
Genere: Drammatico
Durata: 113 min. - colore
Produzione: Francia - Cananda (2025)
Distribuzione: Officine Ubu
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Mathyas, giovane agente pubblicitario di Montréal, ha lasciato il suo Paese e il suo lavoro per seguire il desiderio di vivere una vita a stretto contatto con la natura. Da un po’ di tempo si è così trasferito in Provenza e ha deciso di non tornare a casa: il suo sogno, nonostante i problemi di cuore, è diventare pastore e gestire un gregge in montagna. L’incontro con la giovane impiegata Élise, che dopo una lunga corrispondenza deciderà anche lei di lasciare tutto, porterà Mathyas a vivere con maggiore consapevolezza la sua esperienza e confrontare i suoi sogni romantici con una dura realtà.

Dopo l’allegoria politica di Antigone, Sophie Deraspe adatta il romanzo autobiografico del vero Mathyas Lefebure, “D’où viens-tu, berger?”, e si confronta con i limiti della condizione umana di fronte all’indifferenza (e alla bellezza) della natura.

Per Fino alle montagne il principale film di riferimento della regista canadese è Les Loups, in Italia visto all’epoca al Torino Film Festival, in cui una donna dal passato misterioso arrivava in una piccola isola dell’Atlantico e ne sconvolgeva gli equilibri. Qui torna il tema dello sradicamento, dello straniero che irrompe in un ambiente chiuso (nel paradosso, in realtà, di spazi aperti a perdita d’occhio), ma al cuore del discorso c’è soprattutto l’indagine psicologica del protagonista e della sua compagna d’avventura, secondo un’interessante costruzione narrativa per cui nella seconda parte del film gli equilibri fra i personaggi mutano.

L’evoluzione di Mathyas, infatti, non sta tanto nel suo entrare in relazione con la natura – che rimane inospitale e dura per chi ingenuamente vuole farvi ritorno – quanto nel passare dalla solitudine alla condivisione. Se nella prima sequenza, leggendo una sua lettera a casa, il ricco pubblicitario canadese sembra imporre la sua volontà senza curarsi di chi lo aspetta (e nell’assolata Provenza non si discosta molto dal londinese in vacanza di Un’ottima annata), nel resto del film imparerà a prendersi cura di qualcuno -del gregge, naturalmente, ma soprattutto di Élise. E proprio quest’ultima, che passa dall’immaterialità della parola (molto bella la corrispondenza con Mathyas nella prima parte) alla certezza dei gesti, è in realtà la protagonista inattesa del film, bilanciamento necessario sia delle certezze sia dei dubbi della sua controparte maschile.

La grande sensibilità di Deraspe, che ha scritto il film con lo stesso Lafebure, consiste soprattutto nel lasciare ai personaggi il tempo e lo spazio (tanto spazio, nelle splendide e selvagge alture della Provenza) di accettare i cambiamenti, attenta più ai dilemmi interiori e alle battaglie delle idee che all’evoluzione drammatica del racconto. Ciò che potrebbe essere scambiato per un problema del film – la sua durata estesa rispetto all’indefinitezza narrativa – è in realtà una forza, dal momento che a Deraspe interessa soprattutto il riflesso della natura sul corpo e la mente dei protagonisti.